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Commercialisti: quando si verifica l’appropriazione indebita aggravata?

lentepubblica.it • 22 Ottobre 2015

domiciliariReato “potenziato” in virtù della maggiore pericolosità e antisocialità che il professionista colpevole dimostra abusando della particolare fiducia che il contribuente ha riposto in lui. Il commercialista che non restituisce tempestivamente i libri sociali e le scritture contabili di una società di capitali, omettendo contestualmente di presentare il modello di dichiarazione Iva, risponde del reato di appropriazione indebita aggravata, con condanna al risarcimento dei danni causati al cliente (Cassazione, II sezione penale, sentenza n. 39881 del 5 ottobre 2015).

 

Un commercialista veniva tratto a giudizio con l’accusa di appropriazione indebita aggravata (articolo 646 cp, articolo 61 cp, n. 11) per non avere restituito tempestivamente, in qualità di libero professionista, i libri sociali e le scritture contabili a una società, omettendo contestualmente di presentare, per via telematica, il modello di dichiarazione Iva. Tale comportamento aveva generato un danno per la predetta società, destinataria di una cartella esattoriale gravata di interessi e sanzioni. La Corte d’appello ha ritenuto configurato, in capo al professionista, il reato di appropriazione indebita aggravata e ha ravvisato la responsabilità dello stesso per i danni cagionati alla cliente, da liquidarsi in un separato giudizio in sede civile.

 

I giudici della Corte di cassazione hanno confermato il verdetto di colpevolezza emesso a carico del professionista, con condanna al pagamento anche delle spese processuali. In Cassazione, la difesa ha sostenuto che la parte civile non ha fornito alcuna prova dell’avvenuto pagamento della cartella esattoriale relativa alla mancata presentazione della dichiarazione Iva e che la Corte d’appello non ha tenuto conto delle norme che regolano gli effetti della liquidazione di una società e della sua cancellazione dal registro delle imprese, con consequenziale effetto estintivo dei rapporti giuridici pendenti.

 

La Corte suprema, nel ritenere che nella condotta del ricorrente si ravvisano gli estremi della responsabilità, ha rigettato tutte le difese di parte affermando che “le doglianze sono formulate in termini generici e che…per poter essere prese in considerazione, presuppongono la soluzione di questioni di fatto (individuazione del danno risarcibile ex art. 185 cod. pen., quantificazione del danno risarcibile, legittimazione della società [omissis] a formulare domande risarcitorie) che dovranno essere oggetto di vaglio nella competente sede di merito esulando al momento dal giudizio di legittimità”.

 

Ai sensi dell’articolo 646 del codice penale, il delitto di appropriazione indebita è commesso da chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria del denaro o della cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso. Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata e si procede d’ufficio e non a querela della persona offesa. Si procede, inoltre, d’ufficio se il fatto è commesso con abuso di autorità o di relazioni domestiche, oppure con abuso di relazioni d’ufficio, di prestazione d’opera, di coabitazione o di ospitalità (circostanze aggravanti ex articolo 61, n. 11, del codice penale).

 

Si tratta di un tema ampiamente dibattuto in dottrina e in giurisprudenza, cioè se il comportamento del professionista che ritarda (o nega) la contabilità del cliente o trattiene per sé le somme ricevute per pagare le imposte deve avere rilevanza esclusivamente sul piano deontologico-professionale o configuri una responsabilità civile o penale.

 

Al riguardo, la Corte si è espressa più volte, statuendo che il comportamento non corretto del professionista, che ritarda o nega la contabilità richiesta dal proprio cliente, in alcuni casi può avere anche rilevanza penale, oltre che puramente disciplinare. In particolare, con la sentenza 18027/2014, i giudici hanno ritenuto che viene integrato il reato di appropriazione indebita se il professionista si rifiuta di restituire al proprio cliente la documentazione ricevuta, in quanto si tratta di un comportamento che eccede i limiti del possesso. L’inerzia a seguito di sollecitazione o, addirittura, la risposta di non avere intenzione di effettuare la restituzione, integrano il reato. Inoltre, l’appropriazione indebita è “aggravata”, in virtù della maggiore pericolosità e antisocialità che il colpevole dimostra abusando della particolare fiducia che il soggetto passivo ripone in lui e della violazione dei particolari doveri qualificati incombenti sull’agente. Dunque, irrilevanti sono i motivi che hanno spinto il professionista a non restituire la documentazione, come l’inadempienza dei pagamenti degli onorari da parte del cliente; il mancato pagamento delle spettanze al professionista non può legittimare quest’ultimo alla ritenzione di quanto sia del cliente.

 

Di recente, la Corte di cassazione ha esaminato un caso simile (sentenza 24772/2015), affermando che il reato di appropriazione indebita può ritenersi configurato in capo al consulente fiscale anche quando questi abbia trattenuto per sé le somme ricevute per pagare le imposte, non rilevando la mancata notifica ai clienti raggirati della cartella esattoriale né l’incertezza sull’esatto ammontare del debito tributario gravante sui medesimi.

 

Anche nel predetto caso, i giudici hanno precisato che si tratta di reato istantaneo, che si consuma con la prima condotta appropriativa e, cioè, nel momento in cui l’agente compie un atto di dominio sulla cosa, con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria. Ne consegue l’irrilevanza, ai fini della consumazione del reato, della mancata notifica della cartella di pagamento ai clienti.

 

Infine, si segnala che la Cassazione, con sentenza 1790/2014, citando la giurisprudenza consolidata, ha chiarito che è ininfluente anche il momento in cui la persona offesa viene a conoscenza della manifestazione di volontà dell’agente di appropriarsi della cosa, elemento questo che, invece, rileva al diverso fine della decorrenza del termine per la proposizione della querela, in quanto trattasi di “un reato a consumazione immediata che si verifica nel momento (e nel luogo) in cui l’agente tiene consapevolmente un comportamento oggettivamente eccedente la sfera delle facoltà ricomprese nel titolo del suo possesso ed incompatibile con il diritto del proprietario: sotto questo profilo, quindi, è del tutto irrilevante la conoscenza che ne abbia la parte offesa, elemento questo che, invece, pacificamente viene in rilievo ai fini del diverso problema della decorrenza del termine per proporre la querela ex art. 124 c.p., “dal giorno della notizia” (cfr Cassazione, sentenze nn. 22127/2013, 29451/2013, 26774/2010, 39873/2006 e 26440/2002).

Fonte: Fisco Oggi, Rivista Telematica dell'Agenzia delle Entrate - articolo di Filomena Scarano
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